Che cos’è il fascismo

di Giovanni Gentile

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Tutto comincia nel 1914, con La filosofia della guerra, uno dei testi pubblicati in questa raccolta curata da Salvatore Natoli. Giovanni Gentile allora ha quasi quarant’anni. Siciliano, ha studiato alla Normale di Pisa e in quegli anni insegna nella medesima città. Siamo al principio della Prima guerra mondiale e Gentile si oppone con forza a una nazione che vede in gran parte inerte, debole, dedita al chiacchiericcio fine a sé stesso. La guerra va assunta come dovere e responsabilità morale. Il filosofo non può essere neutrale.

Scrive già nel 1914: «Il nostro dovere oggi è di essere pronti all’appello, tutti al nostro posto, con l’animo proteso verso il cenno che da un momento all’altro potrà venirci da chi rappresenta la nostra volontà, il nostro essere nazione». In queste parole, che recuperano un’immagine – seppur mutilata – dell’epopea risorgimentale (la stessa che riecheggia anche nel motto dei carabinieri «Obbedir tacendo e tacendo morir», creato proprio in quel 1914 riprendendo un poema del 1861), possiamo già leggere la costruzione di un vocabolario morale che negli anni Venti porterà il filosofo alla convinta adesione al fascismo e alla missione della costruzione di una filosofia per il fascismo, di cui i testi qui raccolti rappresentano l’espressione compiuta.

Un’adesione che non avrà ripensamenti, tanto che nel Discorso agli Italiani (1943) che segnerà la sua condanna a morte (qui riproposto), Gentile non fa atto di pentimento, non denuncia gli errori né le leggi criminali del regime, non si dichiara colpevole ma chiama all’unità della nazione. Resta coerente fino alla fine.

«Con il Dopoguerra si apre una nuova epoca. Ma cosa dire oggi dell’apparizione delle nuove destre nel mondo? Che cosa in esse sopravvive del fascismo storico? Certo, la restrizione delle libertà sotto la voce “legge e ordine”, la riproposizione della gerarchia sotto la voce “merito”, i rigurgiti di xenofobia e razzismo lo richiamano, ma sono tratti troppo generici per segnare una continuità o quanto meno una ripresa. Da tempo s’è proclamata la fine delle ideologie ed è un errore: ogni società secerne ideologie, quanto meno per identificare sé stessa. Tuttavia, c’è un aspetto per cui si può dire che le ideologie sono finite davvero: lo sono le ideologie novecentesche. Ciò che differenzia in modo evidente le destre contemporanee da quelle storiche è dato dal fatto che sono prive di un “orizzonte utopico”, non nutrono l’idea di chiudere la partita con il passato e inaugurare un nuovo avvenire, un tempo nuovo: poco importa se il “sol dell’avvenire” di una società senza classi o l’istaurazione di un Reich millenario e la fabbricazione di una nuova stirpe di vincitori. A loro modo, i fascismi novecenteschi furono capaci di agitare una promessa, di offrire ideali per cui immolarsi e uccidere. Oggi, il volto della società è interamente cambiato.»

 

Dalla Introduzione di Salvatore Natoli

Informazioni
  • Lingua
    ITA
  • Pagine
    208
  • Anno
    2025
  • ISBN
    979-12-225-0066-9
  • Collana
    Fuoriscena
  • Formato
    Brossura con alette
  • Prezzo di copertina
    17 euro